Facciamola breve ché nell’incipit c’è già la fine: ho dipinto (e continuerò a farlo) per tre anni consecutivi per le strade dei Quartieri Spagnoli. Aggredendo da ogni confine: Corso Vittorio Emanuele, Pignasecca, Chiaia, restando imbrigliato nelle maglie fitte della scacchiera pensata a suo tempo per le truppe spagnole, il cuore inesplorato e temuto perché vestito di una corazza di cliché. L’ho fatto di giorno, cominciando da quegli edifici che – distrutti dal terremoto e mai restaurati – sono considerati da tutti terra di nessuno; e quando il primo passante, vedendomi operare (è chirurgia la pittura, l’ho già scritto), si è fatto avanti e mi ha chiesto di dipingere anche la porta del suo basso, inconsapevolmente ha messo in moto una reazione a catena che, come la biglia di un flipper mi ha catapultato da un muro all’altro, di basso in basso, garage dopo garage, per soddisfare le richieste di quanti (tanti, troppi per le mie sole forze) mi chiedevano un dipinto anche per loro.
Un’amica mi ha chiesto poco tempo fa: ma tu perché lo fai? Mi sono accorto che aveva più risposte di me. Forse immaginava che lo facessi per rendere migliore il quartiere, o che mi piacesse stare tra la gente. Sarà, e se è vero non importa; io sono più propenso a pensare che l’ho fatto perché non potevo fare altro, assecondavo la mia ossessione. I personaggi che dipingo mi disegnano, non viceversa. Sono loro che, armati di tutto punto, autolesionisti, balordi, più moderni di ogni moderno, mi trascinano e mi obbligano a dar loro vita mettendoli in quella cornice di senso che è la metropoli. È inutile, quando la passione è forte si va avanti senza ragione tra le sue fiamme, consci di incenerire da un momento all’altro, come certe superfici (solo di nome, ché a guardar bene hanno storie profonde da raccontare) che nascoste da qualche pannello pubblicitario poi divelto, hanno svelato strati e strati di manifesti dai quali sono nati esseri assai inquietanti.
Tutto quello che c’è stato in mezzo, tra me e ogni singola pagina scritta tra le righe e le rughe di questo meraviglioso quartiere, è storia privata che non merita mercimonio. Quando mai l’amore si è messo in mostra? Solo chi sbandiera partecipazione, riqualificazione, intervento sociale costruisce carriere mettendosi in vetrina come certe vecchie prostitute. Qui non c’è nulla da dimostrare e molto da fare ancora. Intanto ho dipinto senza freno certe mie inquietudini (che credo siano anche di molti altri) che spesso inquietavano a loro volta; e allora non mi sento neanche di tacere che molti considerano terrificanti le mie opere e allora intervengono chiedendo di disegnare cose più allegre, floreali, carine (è la dittatura del carino!). Non li assecondo. Perché se da un lato è prezioso il loro coinvolgimento emotivo, dall’altro lo è anche la mia autonomia. Se mi mettessi a consolare rischierei di accomunarmi ai tanti che continuamente cercano di nascondere il disastro sotto il tappeto. Dunque insisto dipingendo le mie ossessioni, che sono poi quelle che l’humus circostante alimenta e se possibile aumenta. (c&k)
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