Se la nostra vista è accecata dal luccichio folgorante della merce, possiamo allenarci con gli altri sensi a vedere nel buio del quotidiano. Ecco che la negazione delle cose che vediamo ci fa rinascere, il nostro io si risveglia dal buio. Odoriamo le cose che ci circondano, tocchiamole, ascoltiamo i rumori di sottofondo della società, così da riuscire a capire che la sua trasformazione in merce rappresenta la sua morte. Iniziamo a sentire l’odore del malato: siamo in corsia dell’ospedale, c’è continua necessità di disinfestazione. Siamo al macello dell’umano, l’odore e il calore del sangue è distinguibile chiaramente. Siamo al concerto della natura, i suoi striduli rivolgimenti sono ben ascoltabili. Aver chiuso gli occhi, accecati dalla luminosità mercificante, non è la fine di ogni speranza; il puzzo del rifiuto non può essere cancellato, l’odore surrettizio del riprodotto non può eliminare il profumo della vita: distinguiamo i due. Possiamo ancora ascoltare il ritmo della vita, nella genuinità del gesto riscopriamo il nostro corpo. Sviluppiamo nuovi sensi, riviviamo gli spazi, con gli occhi chiusi sì, ma con il cuore e la mente all’erta.
Non più diniego, come pratica prevalente per la sopravvivenza. Certo, sembra difficile trovare uno spazio di senso, con un potere che si dispiega sopra le nostre vite, che calpesta i suoi simili, affermandosi con la prepotenza e l’arroganza. C’è, però, spazio tra l’eroe e l’automa desiderante. C’è spazio per superarsi e trovare le strutture che ci connettono agli altri sé. Sono le connessioni tra la sfera del sé, forma nella quale si fondano i propri desideri, la sfera dell’altro, processo nel quale fondiamo la nostra etica del comportamento, e la sfera del noi, dove si forma l’immaginario e prendono vita le narrazioni storiche, che ci possono aiutare a camminare ad occhi chiusi. Il loro riconoscimento permette la formazione del politico. Dimensione nella quale l’uomo prende coscienza dell’ignavia dell’agire della monade nomade utilitaria: l’uomo moderno. Zombi il cui occhio spento vive di sola mercificazione. Il diniego: per molti un patologico meccanismo di difesa. Ebbene, da cieco vi dico: annusiamo ciò che ci sta intorno, distinguiamo l’odore della morte da quella della vita. Tocchiamo gli oggetti e i soggetti che ci circondano, il freddo ci indicherà la merce, il caldo il manufatto e l’umano. Gustiamo le nostre giornate, il sapore ci avvertirà di ciò che è putrido e ci allieterà con ciò che la sapidità vi offre. Udiamo l’equilibrio del tempo che passa, i suoni avranno le loro frequenze e i rumori resteranno inascoltati. Immaginiamo con tutti i sensi. Ascoltiamo con il tatto, assaporiamo con l’udito, palpiamo con l’olfatto, annusiamo il sapore, alla fine vedremo di nuovo. La luminosità, il luccichio, la fantasmagorica merce non ci rinchiuderà più nel buio. Le connessioni instaurate ci renderanno partecipi a nuovi sensi, la sfera del sé così formata ci eviterà la deriva dei desideri, la sfera dell’altro sarà di rinforzo all’etica del riconoscimento, la sfera del noi vivrà di un politico capace di riconoscere la collettività della mente. Vivremo con più sensi, e fuori dal buio. (QuA) fotografie di Mario Spada
Il buio non ci permette di vedere, ma al buio possiamo sentire. Non solo nel senso di ascoltare, con gli altri sensi pure si può partecipare. Possiamo odorare, toccare, assaggiare ciò che ci circonda.
Così parlò Quincas l’Acquaiolo