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La gara per vendere il primo lotto degli ex suoli industriali di Bagnoli è andata deserta; il piano urbanistico prevede troppa edilizia terziaria rispetto alle esigenze di mercato, lamenta la BagnoliFutura, e chiede al comune di aumentare le cubature residenziali previste in quel lotto, portandole dal trenta all’ottanta per cento del nuovo volume edificabile (da 65mila a 172mila metri cubi, circa 360 alloggi in più). Certo è che lo scarso avanzamento della riqualificazione complessiva dell’area (si pensi che gli eventuali acquirenti del primo lotto dovrebbero terminarsi la bonifica) e le incertezze sul suo completamento non garantiscono condizioni ottimali di valorizzazione. Ma la BF ha un disperato bisogno di fare cassa, anche a prezzi di saldo, dato il pesante indebitamento in cui versa nei confronti della Fintecna, proprietaria delle aree, dei fornitori e delle banche che hanno anticipato i fondi per lavori di bonifica e opere edili. Dunque la nuova Bagnoli punta sul mattone residenziale, che l’Istat segnala quest’anno in forte ripresa al Sud. Del resto, l’aumento delle cubature abitative nell’area non è una novità: la Variante per l’area occidentale del 1998 prevedeva fossero in media il quindici per cento del nuovo volume edificabile; il Piano Urbanistico Esecutivo del 2005 le portava al ventisette; le modifiche approvate (e poi ritirate) dalla Giunta comunale nel 2009 le avrebbe aumentate al quarantasette; se poi fossero andate in porto le previsioni comunali per il Piano Casa, saremmo arrivati al cinquantanove per cento. Poiché l’obiettivo è esclusivamente finanziario, gran parte delle nuove case sono previste per acquirenti delle classi agiate, con un ruolo assolutamente marginale di quell’edilizia popolare in affitto che costituisce il vero bisogno sociale. Ma questo non è l’unico segno che l’originario compromesso tra esigenze sociali, necessità ambientali e interessi economici, tentato quindici anni fa dall’ex assessore all’urbanistica Vezio De Lucia, mostra evidenti crepe. Basti rilevare che gli unici investimenti sull’area sono di provenienza pubblica (ottanta milioni di euro spesi e oltre un miliardo previsti), sul litorale inquinato insistono speculazioni commerciali private (il Co.Ma.Ba.) e para-pubbliche (Città della Scienza), il polo industriale high tech del PTA è fermo come il suo sito web, mentre la magistratura indaga su una bonifica incerta nei tempi e nei risultati. La destra, dalle sue roccaforti in Regione e alla Provincia di Napoli, lesina i fondi alla BF e spinge per una revisione globale del piano, prospettando il ricorso all’Accordo di Programma, operazione che sarebbe facilitata da una sconfitta del centrosinistra alle prossime elezioni comunali, ma resta probabile anche in caso di una sua riconferma, dal momento che larga parte di esso non ha mai digerito il piano di De Lucia e ha tentato più volte di stravolgerlo. Si delinea un possibile scenario in cui, sciolta o marginalizzata la BF, un sistema di appalti-concorso accolga le tradizionali richieste dei costruttori napoletani: spostare case, alberghi e negozi sul lungomare, ridurre e spezzettare il parco urbano, espandere le attrezzature portuali, commercializzare Nisida e il litorale, recuperare a scopi edilizi la colmata a mare. Verrebbe così accantonata la prospettiva di un vero risanamento delle aree inquinate per restituirle a prevalente uso pubblico. (massimo di dato)  da www.napolimonitor.it